Buongiorno lettori! Oggi parleremo dell'ambientazione del romanzo romantico di Carlo Vicenzi edito Dark Zone Edizioni: Il Respiro del Fiume.
Ecco qui la sua particolare ambientazione!
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Ho deciso di ambientare questa storia nella mia città natale, Finale Emilia per diversi motivi: il primo, e forse più banale, è la volontà di rendere viva ogni scena, rendere più realistica e vibrante ogni immagine trasmessa dalle mie parole a chi legge. Per poterlo fare spesso è necessario conoscere l’ambiente come il palmo della propria mano quindi, mi sono detto, perché non scegliere il mio paesello? Vivo al centro della Pianura Padana da più di trent’anni e sono molto legato a questo posto, anche se a volte non fa proprio nulla per fartici affezionare.
Rileggendo mi sono reso conto di non averlo reso tanto “com’è davvero” ma piuttosto “come lo vedo io”. Diciamo che è una “rappresentazione artistica” della piccola cittadina.
La strada che dava accesso a Finale Emilia era incorniciata dalle fronde dei platani. Il mio cervello veniva bombardato da flash di ricordi, risvegliati da immagini familiari che ritrovavano il loro posto nella mia testa: il verde delle foglie e il giallo del grano che ondeggiava nel vento come fosse un mare dorato.
Avevo iniziato a odiare quel posto a tredici anni, quando mia madre, aveva deciso di trascinarmici come quando ero una bambina per continuare la tradizione di andare dalla sorella ogni fine settimana, allontanandomi dalla mia vita sociale di tredicenne, cosa che all’epoca consideravo un affronto mortale. Appena raggiunta un’età in cui potevo essere lasciata a casa da sola per due giorni senza rischio di disastri, sempre secondo il metro di mia madre, avevo smesso di andarci. Se avessero detto che, undici anni dopo, quel posto in mezzo al nulla sarebbe diventata la mia unica speranza di rimettere in sesto i pezzi della mia esistenza, sarei scoppiata a ridere e con tutta probabilità avrei sparato una salva di insulti.
E invece eccomi qui, in un posto troppo piccolo per essere chiamato città, ma troppo grande per essere chiamato paese.
Come ho detto, non ho cercato di ritrarre la cittadina in modo oggettivo e fotografico, ma le ho dato una reinterpretazione sulla base delle sensazioni che mi trasmette ogni volta che attraverso i luoghi di cui parlo e ho cercato di farle vivere allo stesso modo anche ai personaggi, Zoe ed Enea, mentre dipanano la matassa delle loro vicende, dei loro sogni e dei loro traumi.
Per molti potrebbe non esserci nulla di speciale in questo “Buco in mezzo al niente”, però certe volte è magnifico anche solo starsene in silenzio, in piedi sull’argine del fiume, e guardare l’orizzonte immenso che ti circonda, senza nulla a bloccare la vista.
I piedi mi portarono oltre il boschetto, oltre la zona incolta subito oltre. Davanti a me vidi il fianco coperto d’erba verde dell’argine.
Il fiume.
Non l’avevo ancora visto, da quando ero tornata. Infilai il libro sotto l’ascella e presi a salire il ripido pendio terroso che cingeva il greto. Afferrai gli sterpi che lo coprivano per reggermi. Avrei potuto camminare per qualche centinaio di metri fino a una delle rampe ghiaiate, ma preferii fare così, come undici anni prima.
Fui sulla cima di quel serpente di terra compatta in un batter d’occhio, a fissare il suo gemello, sull’altra riva. Il corso d’acqua aveva un colore malsano e sabbioso. Pezzi di legno e grovigli di vegetazione marcescente venivano trascinati dalla corrente. Un centinaio di metri alla mia sinistra, vicino a un’ansa, una nutria grossa quanto Spike si tuffò in acqua.
Ai miei piedi l’argine digradava, fino a una banchina terrosa, larga non più di sei o sette metri. L’odore del fango mi pulì le narici che parevano incrostate dal fritto e dagli altri effluvi della cucina. Non che mi dessero fastidio, solo che dopo ore degli stessi profumi il mio cervello aveva bisogno di qualcosa di diverso per tenersi attivo.
Mi sedetti, le gambe rilassate lungo la discesa. L’aria era piena di farfalle e moscerini, api e nugoli interi di zanzare che si levarono in volo appena posai il sedere sull’erba. Non mi importava di quei piccoli vampiri: il mio sangue non le aveva mai attirate granché e le punture prudevano solo per qualche minuto, se si aveva la forza di volontà di non grattare.
Avrei potuto anche essere circondata da uno sciame di vespe, non avrebbe fatto alcuna differenza: avevo il mio libro, avevo qualche ora per rilassarmi. Non mi mancava nulla.
Il secondo motivo è che volevo dimostrare che una storia non ha bisogno di luoghi esotici, famosi o fantastici per risultare interessante. Certo, anche io sono tentato dallo scrivere di posti come Londra, New York, Tokyo e via dicendo, che trasudano un fascino unico e possono aprire mille possibilità, ma in fondo credo che una storia che si svolge accanto a casa nostra possa risultare altrettanto appassionante, forse proprio per la vicinanza che abbiamo a luoghi comuni come quello di cui ho parlato ne “Il Respiro del Fiume”.
Un profumo floreale inondava l’ambiente. Legno lucido copriva il pavimento e saliva fino a metà delle pareti. Il breve corridoio d’ingresso sfociava in una sala ampia di forma circolare, luce soffusa gettata da candele e lanterne presenti su ognuno dei tavoli che la riempivano. Dal lato opposto stava un bancone in pietra su cui erano poggiate cloche di vetro che proteggevano torte, muffin e biscotti di ogni genere. Dietro, file e file di mensole reggevano cilindri di metallo, etichette compilate con grafia svolazzante. C’era musica in sottofondo, abbastanza alta da poterla udire, ma non fastidiosa. Solo note, nessuna parola.
[…]
E non avevo ancora aperto il menù. Quando lo feci rimasi davvero sorpresa. Non c’era traccia di birre, bibite gassate in lattina e nemmeno acqua minerale. Sulle pagine di carta di riso erano elencati tè di tutti i tipi, accompagnati da una breve descrizione a metà tra lo storico e il sommelier. Gialli, neri, verdi, rooibos… c’erano più infusi e bevande di quanto potessi immaginare esistessero. Sul retro, con una clip di legno, era agganciato un foglio che riportava le pietanze del giorno: muffin, torte e biscotti.
«Questo» esordì Sonia, «è il mio rifugio lontano dal mondo, dallo stress e dalle delusioni amorose.»
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Il Respiro del Fiume
Carlo Vicenzi
Romantico
Poco più di venti anni e un passato doloroso da lasciarsi alle spalle. Zoe ha bisogno di cambiare vita e ricominciare da sé e il piccolo agriturismo di un’eccentrica zia sembra perfetto. Complice una passeggiata lungo il fiume e una melodia nel vento, per Zoe inizia un’estate che non dimenticherà mai. Un nuovo lavoro come chef e amicizie sincere forse l’aiuteranno a recuperare fiducia nella vita e nelle opportunità che essa sa dare. E a credere che non esistono sogni irrealizzabili.
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