L'inizio del viaggio
Il giorno tanto atteso è finalmente arrivato.
Mi sembra di aspettarlo da sempre, da quando ero una bimbetta con le ginocchia sbucciate e tanti sogni infranti. Da allora sono cambiate tante cose, sono cambiata tanto anch’io. Ma il mio desiderio è rimasto immutato, come un obiettivo da raggiungere, un’ancora a cui aggrapparsi.
Solo qualche giorno fa, ero a casa a ricamare tovagliette da vendere al mercato con mia madre: ero una ragazza di quasi diciassette anni che cercava di aiutare la famiglia ad andare avanti. E oggi, invece, mi ritrovo qui, ad attendere il momento in cui incontrerò la Strega della Fonte.
Quasi non riesco a crederci, mentre cammino sull’erba troppo cresciuta del Prato. Per essere un posto quasi sacro dove, ogni tre anni, dozzine di ragazzi e famiglie si appostano con ansia per assistere alla “grande partenza”, non sembra avere nulla di speciale. Tranne, forse, la natura molto più bella e lussureggiante rispetto a qualsiasi altro bosco abbia mai visto.
«Eccoci arrivate» sussurro, sistemandomi meglio la borsa sulla spalla e scostandomi un ciuffo di capelli castani dal viso.
Mia madre sorride debolmente, mentre Egea e Dacy ridacchiano. Nonostante ciò, nei loro occhi posso scorgere l’ombra di preoccupazione che, ormai da un po’ di tempo, si annida nei loro pensieri di bambine cresciute troppo in fretta.
È difficile prendere questa decisione, scegliere di tentare la sorte per avviarsi in un viaggio con altri ragazzi sconosciuti e agguerriti, per cercare la strana vecchietta: la Strega Maestra della nostra regione che, ogni tre anni, prende con sé un nuovo, fortunatissimo apprendista.
È difficile, ma non per me che ho sognato fin da bambina di poter, un giorno, diventare una strega.
Il nostro villaggio, Erad, dista solo qualche giorno di cammino da Farery, la cittadina dove ci troviamo adesso. È stato faticoso arrivare fin qui a piedi, ma quando ho pregato mia madre e le mie sorelline di rimanere a casa, non hanno voluto sentir ragione: mi avrebbero accompagnato fino al punto dove il Prato si collega al Ponte, mi avrebbero dato gli ultimi abbracci e baci, e sperato per me di non vedermi per tre anni, o almeno di ritornare da loro senza nulla di rotto.
Il viaggio per raggiungere la cima del monte Raif, in effetti, non sembra proprio essere una passeggiata.
È pomeriggio, il sole non è ancora sul punto di tramontare, ma c’è già un piccolo drappello di persone in attesa. Alcuni bambini giocano a rincorrersi, mentre gli adulti se ne stanno in piedi in piccoli gruppi, parlottando fitto fitto. Solo tre o quattro persone, più vicine al limitare del dirupo, sembrano avere l’espressione di chi versa nella preoccupazione almeno quanto mia madre e le mie sorelle.
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Il mio sguardo viene catturato dall’immensità del luogo in cui mi trovo. Il bosco che circonda il camminamento che ci ha portato dalla mia cittadina fino a Farery è bellissimo, abitato da creature dai colori bizzarri, uccellini canterini che si posano su alberi altissimi dalle foglie carnose e brillanti, fiori vividi e profumi inebrianti.
Ma il Prato è qualcosa di spettacolare. Sembra che qualcuno l’abbia disegnato dal nulla, perché non ci si potrebbe spiegare altrimenti l’enorme spazio a forma di semicerchio, sgombro da arbusti e alberi, ma circondato da fusti dalle chiome floride. Termina su un dirupo, con uno strapiombo improvviso, tanto che i fili di erba incolta penzolano sulla roccia viva e sul vuoto.
Mi volto, guardo mia madre e le sorrido. Poi abbandono la borsa piena di viveri vicino alla mia famiglia che si riposa. Agguanto i lembi della lunga gonna, alzandoli appena mentre corro verso il bordo del Prato.
Guardo giù e mi gira la testa. Il vuoto si perde nel buio, spezzato solo dalla presenza di un' enorme cascata, che sbuca dall’interno della roccia, dal versante opposto al mio, provocando uno scrosciare roboante. Di fronte a me, oltre il baratro, si erge una montagna gigantesca.
Alzo gli occhi al cielo, il sole che me li brucia un po’. Guardo le chiome degli alberi sulla cima del Raif, e penso che lì, da qualche parte, c’è una fonte. Che lì c’è la mia Maestra. Che devo trovarla.